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Cristoforo Landino

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Cristoforo LandinoFlorence, 1425 - 1498, Borgo alla Collina

LANDINO (Landini), Cristoforo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 63 (2004)

di Simona Foà

LANDINO (Landini), Cristoforo. - Nacque a Firenze l'8 febbr. 1425 (1424 secondo lo stile fiorentino: tale data è spesso indicata come quella della nascita del L.) da Bartolomeo, originario di Pratovecchio, località del Casentino da alcuni ritenuta il luogo natale anche del Landino. In diversi passi della sua opera il L. indica invece Firenze come proprio luogo di nascita.

Il L. parla della famiglia di origine nel componimento poetico giovanile De suis maioribus, contenuto nella raccolta Xandra. Qui rievoca le vicende del capostipite, Landino, che combatté a Campaldino, e di alcuni suoi congiunti famosi, tra i quali il musicista Francesco Landini. A un fratello è invece dedicato un altro componimento della raccolta, composto in occasione della morte di questo, avvenuta probabilmente nel 1452, durante la guerra di Firenze contro gli Aragonesi. Nello stesso componimento è ricordata anche una sorella del poeta. Un altro fratello, Piero, molto distante per età, essendo nato nel 1449, è menzionato come appartenente alla famiglia del L. nel Catasto del 1470.

Come ricordato ancora nel componimento De suis maioribus, fu sull'esempio dello zio paterno Gabriele, monaco camaldolese e allievo di Ambrogio Traversari, che il L. si indirizzò verso le lettere. E dovette mostrare una precoce attitudine agli studi se, compiuti i dieci anni, Angelo da Todi, notaio della Camera apostolica appartenente alla segreteria di papa Eugenio IV, lasciò nel testamento indicazioni affinché fosse garantito, a sue totali spese, il mantenimento del L. agli studi presso una scuola di Volterra.

Esecutore delle volontà testamentarie di Angelo da Todi fu Francesco di Altobianco Alberti, come testimonia un documento datato 4 ott. 1439: "Io Cristofano di Bartolomeo da Prato Vechio fò pienissima fede qualmente lo spettabile huomo Francesco di Altobianco delli Alberti, per virtù di un certo legato lasciatomi già da ser Agniolo da Todi, mi à sodisfatto dal dì 20 di agosto 1436 insino al sopradetto dì" (cit. in Bandini, pp. 77 s.).

Il L. lasciò quindi la scuola di Volterra nel 1439; tornato a Firenze, dovette comunque continuare gli studi sotto la guida, soprattutto, di Carlo Marsuppini, del quale seguì i corsi allo Studio fino all'anno della sua morte (1453). Alla scuola del Marsuppini il L. ebbe modo di conoscere, fra gli altri, Iacopo Ammannati e Bartolomeo Scala, con il quale ebbe una lunga comunanza di interessi e una lunga frequentazione presso gli uffici della Cancelleria. Il L. ricevette probabilmente anche una formazione di carattere giuridico-notarile benché non si abbia notizia dei suoi maestri e di quale percorso abbia compiuto in queste discipline. Non è certo infatti che si riferisca al L. un documento del 1437 in cui compaiono un "Christoforus de Landinis" e suo fratello "Ptolomeus" come studenti di diritto a Pavia (Codice diplomatico dell'Università di Pavia, II, 1, Pavia 1913, p. 383).

Nel 1441, in occasione del Certame coronario, lettura in forma pubblica di componimenti poetici in volgare sul tema dell'amicizia proposta agli scrittori fiorentini da Leon Battista Alberti, al L. fu affidata la lettura del capitolo Sacrosanta, immortal, celeste e degna, composto da Francesco di Altobianco Alberti. Agli Alberti rinviano pure alcuni componimenti inseriti nella raccolta Xandra, risalenti agli anni giovanili del L., e a Leon Battista Alberti egli dedicò la prima forma della raccolta, messa insieme negli anni 1443-44. Agli stessi anni risale la dedica al L. dell'opuscolo Musca da parte dell'Alberti.

Nel 1446 "ser Christophorus Bartholomei Landini de Puppio" (cit. in Fubini, 1987) accompagnò, in qualità di apprendista della Cancelleria fiorentina, Paolo da Diacceto nella ambasceria presso il papa. Del soggiorno a Roma, che durò dal 9 gennaio al 4 giugno, lo stesso L. lasciò testimonianza nel Comento sopra la Comedia: "et io vidi a Roma ne' tempi d'Eugenio quarto un vaso d'alabastro nel quale la candela risplendea più che in sottilissima lanterna" (Paradiso, XV, vv. 13-24, rr. 20-22, p. 1775 dell'edizione curata da P. Procaccioli).

Gli anni Cinquanta del XV secolo furono decisivi nella vita del L., che iniziò la sua carriera come docente presso lo Studio fiorentino e assunse incarichi rilevanti presso la Cancelleria fiorentina; fu inoltre in questo periodo che il L. compì la definitiva scelta di campo in politica, schierandosi decisamente con i Medici. Significativo, anche in questo senso, è il fatto che nel 1456 Marsilio Ficino sottopose il suo scritto, che non ci è pervenuto, Institutiones ad Platonicam disciplinam al giudizio del L. e di Cosimo de' Medici, che gli consigliarono, pur apprezzando l'impianto complessivo del lavoro, di approfondire lo studio del greco al fine di comprendere meglio la lettera del testo platonico.

Il L. non sarebbe stato quindi solo un divulgatore del neoplatonismo fiorentino quattrocentesco, bensì uno dei suoi più significativi promotori, come ha convincentemente messo in evidenza Field (1988, pp. 8 s.): "With new discoveries and a new appreciation of Ficino's early works, and a new evidence relating to Landino's early career, we now know that at the founding of the Platonic Academy by Cosimo in 1462 or 1463 many of Marsilio Ficino's central ideas were already well developed, and we can be reasonably certain also that Cristoforo Landino had for several years been giving philosophical, Platonizing lectures on both Latin poets and Dante". In questo ruolo di promotore di alcuni fra i principali aspetti dell'umanesimo fiorentino in età medicea (il neoplatonismo, la valorizzazione del volgare e della sua tradizione letteraria, l'uso dei classici in funzione pedagogica ecc.) si mostra il carattere peculiare della figura del L., ossia l'essere divenuto nel corso del tempo totalmente organico al potere politico dei Medici sia nella sua attività accademica sia nella sua attività di funzionario pubblico: elementi, questi, intrecciati nella sua biografia, ma qui trattati distintamente per esigenze di chiarezza espositiva.

Nel 1458 il L. sposò Lucrezia di Alberto di Adovardo Alberti dalla quale ebbe quattro figli: Laura, nata nel 1465, Piero, Bernardo e Beatrice.

Quando, nel 1456, si pose il problema della successione di Poggio Bracciolini alla Cancelleria fiorentina, fu deciso di affiancare all'anziano funzionario alcuni assistenti, fra i quali il L., che avrebbero avuto anche il compito di insegnare presso lo Studio. A quella data il L. aveva però già avuto esperienza di insegnamento nello Studio, probabilmente con l'incarico di lettore in grammatica, come risulta da alcuni pagamenti a lui effettuati dal Comune (cfr. Field, 1988, p. 234 n. 10).

Nonostante queste circostanze, gli inizi della lunga e significativa carriera accademica del L. furono piuttosto tormentati. Alamanno Rinuccini e Donato Acciaiuoli, fra i principali esponenti della vita culturale fiorentina, erano decisamente contrari alla nomina del L. come docente dello Studio e addirittura l'Acciaiuoli lo riteneva, in una lettera del 1455, "etiam pratensi oppido indignum" (cit. in Garin, 1980, p. 200). Il passaggio del L. all'insegnamento avvenne grazie anche alla protezione politica da parte dei Medici che in quegli anni lo stesso L. ricercava con insistenza, come testimonia, fra gli altri episodi, la dedica a Piero de' Medici della versione definitiva della Xandra con un componimento datato al 1458. Ancora in riferimento ai rapporti con i Medici, non è completamente chiarito il ruolo svolto dal L. nella educazione di Lorenzo de' Medici. Se non è da considerare attendibile la notizia data da Leon Battista Alberti secondo la quale il L. sarebbe stato precettore di Lorenzo con Gentile Becchi (cfr. A. Rochon), è però probabile che lo stesso Lorenzo abbia seguito i primi corsi universitari tenuti dal Landino.

È del 18 genn. 1458 la prima delibera ufficiale che affidava al L. l'insegnamento di retorica e poetica presso lo Studio fiorentino. Argomento del primo corso landiniano di cui si ha testimonianza furono le Tusculanae di Cicerone, anche se è incerto se questo corso si svolse effettivamente nel 1458: di esso ci è stata tramandata la lezione introduttiva, la Praefatio in Tusculanis. Secondo la più recente cronologia relativa al primo quindicennio circa dei corsi tenuti dal L. presso lo Studio fiorentino (Field, 1988), dopo il corso ciceroniano, negli anni 1459-60 o 1460-61 il L. tenne i corsi sulle Odi di Orazio; nel 1461-62 sulle Satire di Persio e Giovenale, mentre fra il 1462 e il 1463 fu commentata per la prima volta l'Eneide, sulla quale il L. tornò anche l'anno successivo. Anche del primo corso virgiliano si è conservata la prolusione (Praefatio in Virgilio). Nel 1464-65 il L. tenne un corso sull'Ars poetica di Orazio e altri testi di poetica. Nel ms. 646 conservato presso la Biblioteca Riccardiana di Firenze sono conservati gli appunti presi da Bartolomeo Della Fonte durante questo corso. Nel 1465-66 furono lette le Familiares di Cicerone all'interno di un corso sull'epistolografia. Probabilmente al 1466 e al 1467 risale il corso più interessante e nuovo del L., dedicato alla lettura del Canzoniere petrarchesco.

Si tratta di una scelta originale ma che ben si inscriveva in quell'idea di nobilitazione del volgare e dei suoi classici che caratterizzava la cultura della Firenze medicea. Il L. era stato inoltre già lettore attento delle rime petrarchesche, come testimonia la loro influenza sulla scrittura della sua lirica latina.

Fra il 1467 e il 1469 il L. tornò a Virgilio, leggendo le Egloghe (la Praefatio a questo corso è stata pubblicata in Field, 1981), mentre intorno al 1470 tornò ancora a leggere le Odi oraziane. Field (1986) ha ipotizzato che fin dal 1456 il L. abbia tenuto pubblica lettura del testo della Commedia dantesca, sulla quale tornò in ogni caso negli anni della maturità, in uno o più corsi tenuti fra la seconda metà degli anni '60 e gli anni '70 del XV secolo (cfr. Procaccioli, Introduzione a C. Landino, Comento sopra la Comedia, pp. 22-26) in anni che è difficile indicare con precisione.

Parallela alla attività presso lo Studio scorreva, non meno significativa, la carriera negli uffici pubblici. Nel 1465, succedendo a Bartolomeo Scala, il L. assunse l'incarico di cancelliere della Parte guelfa, della quale nel 1496 fu anche priore della pecunia e della quale fa una apologia in una lettera del 1471 a Paolo Guinigi (pubblicata in Lentzen, 1971, pp. 260-266). Il L. fu inoltre eletto più volte tra gli ufficiali e i segretari della Cancelleria, anche se non riuscì mai a ottenere l'incarico di cancelliere; all'interno della Cancelleria fu però tra i segretari della Signoria. Fra le attività connesse ai suoi incarichi pubblici spiccano le orazioni: l'elogio funebre per Donato Acciaiuoli, morto il 28 ag. 1478 e in onore del quale il L. pronunciò pubblicamente l'elogio il 12 ottobre (pubblicato in Reden Cristoforo Landinos, a cura di M. Lentzen, München 1974, pp. 65-76); l'orazione in morte di Giordano Orsini, del 1483 (pubblicata nello stesso anno a Firenze per Niccolò della Magna); una orazione del 1485 rivolta alla Repubblica fiorentina in onore di Nicola Orsini (pubblicata a Firenze nel 1485 da Francesco Bonaccorsi). Si distacca per contenuto il sermone (edito in Lentzen, 1971, pp. 246-254) tenuto, forse nel 1469, durante il giovedì santo presso la Compagnia dei magi, la confraternita laica di cui erano membri e finanziatori i Medici e molti dei più rappresentativi uomini di potere della Firenze del tempo. Nel 1483 dagli uffici della Cancelleria fu conferito al L. l'incarico di compilare gli annali della Repubblica fiorentina, dei quali non resta alcuna traccia e che presumibilmente il L. mai compose. In qualità di segretario della Signoria, insieme con Simone Grazzini, redasse gli atti di sottomissione di Pietrasanta a Firenze e presenziò alla loro ufficializzazione avvenuta il 30 dic. 1484. Il 6 apr. 1486 il L. appose la propria firma accanto a quella di Marsilio Ficino sul codice delle Pandette di Giustiniano quale autorità che certificava l'antichità e con essa l'originalità del codice.

Legato anche all'attività pubblica e non solo a interessi di studio è l'impegno del L. come volgarizzatore. Al 1474 è da ascrivere la commissione da parte del re di Napoli Ferdinando d'Aragona di un volgarizzamento della Naturalis historia di Plinio, pubblicata a Venezia nel 1476 presso Niccolò Jenson. La traduzione, soprattutto a causa del colorito linguistico spiccatamente fiorentino usato dal L. per tradurre i nomi di animali, piante, ecc., fu immediatamente ritenuta scadente e lo stesso Ferdinando incaricò l'umanista napoletano e bibliotecario presso la corte aragonese, Giovanni Brancati, di rivederla e correggerla.

Alla metà del 1485 è da far risalire la conclusione del lavoro di traduzione dei Commentarii rerum gestarum Francisci Sfortiae (Sforziade) di Giovanni Simonetta, pubblicati intorno al 1482. Il codice con il volgarizzamento giunse a Milano il 4 agosto per essere donato a Ludovico il Moro per volontà di Lorenzo de' Medici.

Ancora al confine tra l'attività di docente presso lo Studio e l'impegno presso la Cancelleria è la redazione di un Formulario di epistole ed orazioni, dedicato a Ercole d'Este e pubblicato per la prima volta nel 1485 a Bologna presso Ugo Ruggeri. L'opera riveste particolare interesse in quanto si tratta di un originale formulario per scrivere testi pubblici in volgare, a testimonianza, di nuovo, del lavoro compiuto grazie al L. dalla Municipalità fiorentina per il rinnovamento della retorica pubblica. Intorno al 1473 il L. fu impegnato nella stesura delle Disputationes Camaldulenses che, secondo gli studi più recenti (Fubini, 1996) furono portate a compimento intorno all'aprile del 1474.

Le Disputationes sono un trattato in forma di dialogo di contenuto filosofico, in cui il L. tende a superare la dimensione grammaticale dell'analisi dei testi letterari, e in particolare dell'Eneide, per affrontare, anche attraverso l'analisi allegorica del testo virgiliano, la questione del rapporto tra vita attiva e vita contemplativa e della possibilità della felicità per l'uomo. Protagonisti del dialogo, ambientato nell'estate del 1468 presso il monastero di Camaldoli, sono lo stesso L., suo fratello Piero, Giuliano e Lorenzo de' Medici, Alamanno Rinuccini, Pietro e Donato Acciaiuoli, Leon Battista Alberti, Marsilio Ficino e altri che, durante quattro giorni di conversazioni, corrispondenti ai quattro libri in cui è divisa l'opera, trattano del rapporto tra vita attiva e vita contemplativa, della questione della felicità (de summo bono) e dell'illustrazione di allegorie virgiliane utili a meglio definire la questione del rapporto tra vita attiva e vita contemplativa. Al termine della composizione le Disputationes Camaldulenses furono presentate nell'esemplare di dedica (Biblioteca apost. Vaticana, Urb. lat., 508) a Federico da Montefeltro, che inviò al L. una lettera di ringraziamento, mentre l'editio princeps fu pubblicata probabilmente nel 1480 a Firenze per Niccolò della Magna; precedente al 1481 è la traduzione di Andrea Cambini, che non ci è pervenuta. L'opera fu accolta piuttosto freddamente dagli ambienti vicini al L. e di ciò è testimonianza una lettera del Ficino a Bartolomeo Scala (Lettere, I, n. 119).

Agli inizi degli anni Settanta risale anche la composizione di un'altra opera di stampo filosofico, il trattato in forma di dialogo De anima, il cui evidente platonismo, dimostrato da Mc Nair, sembra discendere più dalla lettura di Platone condotta dal cardinale Bessarione nell'opera In calumniatorem Platonis che da quella ficiniana. Interlocutore principale del dialogo - che ha come argomento la natura dell'anima, le operazioni a essa proprie e le questioni legate all'immortalità dell'anima ed è ambientato nel 1453 -, è il maestro del L. Carlo Marsuppini.

Nel 1481, approntato in tempi piuttosto brevi mettendo a frutto gli anni di letture sul testo dantesco, fu pubblicato a Firenze da Niccolò della Magna il Comento sopra la Comedia.

L'importanza dell'operazione editoriale di pubblicazione del Comento dantesco e la sua centralità all'interno della politica culturale della Firenze laurenziana sono state più volte messe in luce. Il commento landiniano, che seguiva il modello tradizionale che affiancava interpretazione letterale e allegorica, si arricchiva rispetto al contenuto dei commenti precedenti solo di alcuni riferimenti al neoplatonismo. Di concezione completamente nuova era invece il lungo e articolato Proemio. Rispetto agli accessus ad auctorem che aprivano i commenti tradizionali, questo proemio si caratterizza per essere un vero e proprio studio sulla storia civile e sulla storia della tradizione culturale fiorentina nelle sue diverse manifestazioni, dalla poesia alla musica alle arti figurative all'architettura, delle quali vengono indicati i rappresentanti più significativi. La funzione celebrativa del Comento fu ulteriormente amplificata in occasione della presentazione dell'edizione alla Signoria della città: in quella circostanza il L. pronunciò un'orazione, stampata negli ultimi mesi del 1481 o nei primi del 1482 da Niccolò della Magna. Il Comento ebbe una grandissima fortuna fino a tutto il XVI secolo: per oltre un secolo la Commedia dantesca si lesse accompagnata soprattutto dall'interpretazione landiniana.

Nel 1482 fu pubblicato il commento a Orazio (Firenze, Antonio Miscomini). Anche questo commento a stampa, dedicato a Guidobaldo da Montefeltro, rappresenta il punto d'arrivo di una lunga frequentazione da parte del L. dei testi oraziani. Il commento landiniano si caratterizza per l'attenzione non solo alle strutture linguistiche, stilistiche e retoriche del testo di Orazio, ma anche al suo valore formativo. Forse perché portato a termine in tempi molto brevi, fra il settembre 1481 e il luglio 1482, il commento è però pieno di errori. Il L. stesso si dichiarò conscio dei limiti dell'opera nell'introduzione al Commento all'Eneide pubblicato nel 1488. Ed è proprio il commento virgiliano edito a Firenze, probabilmente da "Berrardus Nerlius", che chiude la triade dei commenti a stampa dedicati agli autori maggiormente trattato dal L. nella sua attività accademica. L'interpretazione virgiliana del L., limitata ai primi libri dell'Eneide, era già presente, nelle sue linee fondamentali, negli ultimi due libri delle Disputationes Camaldulenses e non cambia nel commento, che completa la lettura dell'Eneide e delle altre opere virgiliane.

Negli ultimi anni della sua vita, dopo il 1487, il L. compose il trattato in forma di dialogo De vera nobilitate, sulla antica questione della nobiltà: nell'opera il L. si fa portavoce della teoria secondo la quale la nobiltà si ha per virtù e non per nascita e si può acquisire anche attraverso l'attività nei pubblici uffici.

Nel febbraio 1498, con un provvedimento straordinario dovuto alla sua fama e ai molti anni trascorsi al servizio della Repubblica, il L. fu confermato, nonostante l'età e l'impossibilità di svolgere adeguatamene il lavoro, nella carica di segretario della Signoria e gli fu mantenuto il compenso. Poco dopo il L. morì, forse nel Casentino, dove si era da poco ritirato, il 24 sett. 1498, come ricordato in un documento dello Studio fiorentino. Fu sepolto nella chiesa dedicata a S. Donato situata in Borgo alla Collina, castello donato al L. dalla Repubblica fiorentina. Le circostanze per cui, dal Bandini in poi, molti hanno erroneamente indicato nel 1504 la data di morte del L. sono chiarite da Alessandro Perosa (Una fonte secentesca dello "Specimen" del Bandini in un codice della Biblioteca Marucelliana, in Id., 2000, pp. 289-320).

Il L. è raffigurato, insieme con Marsilio Ficino, Angelo Poliziano e Demetrio Calcondila, nell'affresco di Domenico Ghirlandaio situato nella cappella Tornabuoni della chiesa di S. Maria Novella a Firenze.

La produzione poetica in latino del L. è stata pubblicata in edizione critica da Perosa (Christophori Landini carmina omnia ex codicibus manuscriptis primum edidit, Florentiae 1939). Essa comprende i componimenti giovanili riuniti nella raccolta Xandra e alcune poesie di occasione più tarde. La raccolta Xandra, che prende il titolo dal nome di una donna probabilmente amata dal L. negli anni giovanili, comprende versi di carattere amoroso, encomiastico e di occasione, ed è considerata una fra le più significative raccolte quattrocentesche di poesia latina, in grado di fungere da punto di riferimento per la poesia latina di Poliziano. Fra i versi più tardi pubblicati da Perosa spicca la serie di componimenti dedicati a Bernardo Bembo che il L. conobbe nel 1475 in occasione della prima ambasceria che l'uomo politico veneziano compì a Firenze. Una lettera del L. al Bembo scritta nel 1481 in occasione del restauro della tomba di Dante voluto dallo stesso Bembo quando era podestà a Ravenna è stata pubblicata da Ledos (pp. 723 s.). Due distici latini non pubblicati in Perosa sono pubblicati in Lentzen, 1971, pp. 232 s.

Le prolusioni ai corsi universitari (Praefatio in Tusculanis, Praefatio in Virgilio, le prolusioni petrarchesca e dantesca), i proemi ai commenti dantesco, oraziano e virgiliano e i proemi ai libri III e IV delle Disputationes Camaldulenses, ai volgarizzamenti della Naturalis historia di Plinio e della Sforziade e al Formulario di lettere ed orazioni, nonché l'orazione tenuta in occasione della pubblicazione del commento dantesco del 1481, sono state pubblicate da Roberto Cardini in una edizione che presenta un ricco apparato critico e di note (Scritti critici e teorici, I-II, Roma 1974). Testi landiniani sono pubblicati anche in Bandini (alcune lettere), in Testi inediti e rari di Cristoforo Landino e Francesco Filelfo, a cura di E. Garin, Firenze 1949 (passi tratti dal De nobilitate e dalle Disputationes Camaldulenses) e in Lentzen, 1971 (lettere, esercitazioni per gli studenti dello Studio, orazioni).

Le Disputationes Camaldulenses sono state pubblicate a cura di P. Lohe (Firenze, 1980); una nuova edizione è in corso di pubblicazione per la Harvard University Press a cura di Jill Craye. Il trattato De anima è stato pubblicato a cura di A. Paoli e G. Gentile negli Annali delle università toscane, XXXIV (1915); XXXV (1916); XXXVI (1917); anche di questa opera è stata annunciata una nuova edizione a cura di Manfred Lentzen.

Oltre all'orazione in morte di Donato Acciaiuoli in Reden Cristoforo Landinos, cit., sono pubblicati altri testi landiniani già presenti anche in Lentzen, 1971.

Il Comento sopra la Comedia è stato edito da Paolo Procaccioli (Cristoforo Landino, Comento sopra la Comedia, I-IV, Roma 2001), che riproduce anche l'orazione tenuta in occasione della presentazione dell'edizione alla Signoria.

Il trattato De vera nobilitate è stato pubblicato in edizione moderna nello stesso anno da due curatori diversi: Maria Teresa Liaci (Firenze 1970) e Manfred Lentzen (Ginevra 1970).

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